La cessione del diritto al risarcimento del danno antitrust rischi e vantaggi

La cessione del diritto al risarcimento del danno antitrust rischi e vantaggi

La cessione del diritto al risarcimento, che ultimamente viene proposta alle imprese danneggiate dal cartello dei camion, è a rischio nullità se l’acquirente non è autorizzato da Banca d’Italia.
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Ultimamente, molti soggetti stanno proponendo alle imprese che hanno diritto al risarcimento del danno causato dal cartello degli autocarri di farsi cedere il loro diritto, affinchè possano agire in giudizio in proprio innanzi a Tribunali stranieri (e.g. i Paesi Bassi). Si tratta di un’alternativa che presenta dei vantaggi, ma espone sia il cessionario che il cedente a dei rischi, in quanto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 106 TUB e dell’art. 2 del D.M. 02.05.2015, l’acquisto a titolo oneroso di crediti, svolto in via professionale nei confronti del pubblico, è una forma di finanziamento che è riservata agli intermediari autorizzati da Banca d’Italia, in caso di mancata autorizzazione la cessione è nulla e sono previste sanzioni penali fino a 4 anni di reclusione per l’acquirente.

La cessione del diritto al risarcimento a terzi è un’alternativa efficiente per ottenere il risarcimento causato da un illecito antitrust. L’azione giudiziale è instaurata dal cessionario del diritto, che agisce in nome e per conto proprio. Il soggetto danneggiato dall’illecito antitrust ottiene una somma a titolo di prezzo della cessione, il cui pagamento è posticipato e condizionato all’esito vittorioso dell’azione legale e il cui importo è di prassi una percentuale del risarcimento ottenuto. Nell’ordinamento italiano la cessione dei crediti è disciplinata dall’art. 1260 c.c. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della cessione del diritto al risarcimento da illecito extracontrattuale, al pari di quella di qualsiasi altro diritto di credito. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di alcune corti di merito, l’acquirente su larga scala di diritti risarcitori necessita dell’autorizzazione di Banca d’Italia e di essere iscritto nell’albo degli intermediari finanziari.
Secondo la citata giurisprudenza l’esercizio professionale dell’attività di cessione di crediti risarcitori costituisce attività finanziaria ai sensi dell’art. 106 T.U.B, come tale riservata agli intermediari iscritti nell’apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia e da questa autorizzati. Gli intermediari finanziari sono soggetti, diversi dalle banche, ai quali l’ordinamento nazionale consente di erogare credito in via professionale nei confronti del pubblico nel territorio della Repubblica. La giurisprudenza in questione ha stabilito che nel caso in cui il cessionario del diritto al risarcimento non fosse un intermediario finanziario debitamente autorizzato dalla Banca d’Italia il contratto di cessione del diritto dovrebbe essere considerato nullo per violazione di una norma imperativa e, pertanto, l’azione risarcitoria proposta dal cessionario rigettata. In contrasto a tale giurisprudenza, che al momento è dominante, una giurisprudenza minoritaria ritiene che l’acquisto di diritti risarcitori non costituisca attività finanziaria.
Sanzioni penali fino a quattro anni di reclusione sono previste dall’art. 132 T.U.B. per la violazione dell’art. 106 T.U.B. Costituisce reato di abusiva attività finanziaria svolgere una o più attività finanziarie in assenza dell’autorizzazione di Banca d’Italia o dell’iscrizione nel relativo registro.
Alla luce della citata giurisprudenza, le imprese a cui viene proposto l’acquisto del diritto al risarcimento dovrebbero accertarsi se il proponente è un intermediario autorizzato da Banca d’Italia o quantomeno approfondire l’applicabilità della norma in commento, al fine di evitare il rischio di veder rigettate le azioni risarcitorie proposte per nullità della cessione. Non sembra permettere l’elusione della disciplina, la scelta di una legge straniera come legge applicabile al contratto, né l’instaurazione del giudizio risarcitorio in una giurisdizione diversa da quella italiana, in quanto la norma è di natura imperativa e inderogabile e ai sensi dell’art. 3.3 del Regolamento di Roma I deve essere applicata anche dal giudice straniero.

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