L’autista non è un trasfertista

L’autista non è un trasfertista

Con la recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 27093 del 15 novembre 2017, si è definitivamente chiusa la diatriba circa il trattamento fiscale della retribuzione dei conducenti di veicoli industriali. Dopo contrastanti interpretazioni della normativa fiscale sul punto, da oggi si può con certezza non considerare più l’autista come trasfertista
Autista

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Le Sezioni Unite con la presente pronuncia risolvono le delicate problematiche interpretative riguardanti la distinzione tra trasferta e trasfertismo, a seguito dell’intervento di interpretazione autentica disposto con l’articolo 7-quinquies, D.L. 193/2016 (c.d. Decreto Fiscale), convertito nella legge L. 225/2016.
Ai fini dell’individuazione della figura del trasfertista. l’articolo 7-quinquies, aggiunto in sede di conversione, prevede infatti che l’articolo 51, comma 6, Tuir, si interpreti: “nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:
a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta”.
Nell’analisi dell’attuale legislazione si nota come la trasferta sia definita come un’assenza abituale dal posto di lavoro superiore a sei ore che deve avvenire al di fuori dal territorio dove ha sede la postazione di lavoro.
In questo caso, le somme erogate in regime di vantaggio subiscono un’imposizione fiscale se sono superiori a 46,48 euro al giorno, che diventano 77,47 euro per le trasferte all’estero.
Diverso è il concetto di lavoratore trasfertista. Si definisce tale quel soggetto che contrattualmente è “costretto” a prestare la propria attività lavorativa in sedi di lavoro sempre diverse. Per tali lavoratori le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare. Questo ai sensi dell’articolo 51, comma 6, del DPR n. 917/86.
Nel settore dell’autotrasporto, però, non si applica la citata disciplina prevista dell’art. 51, comma 6, del testo unico di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, che stabilisce il trattamento fiscale dei c.d. trasfertisti. Dei tre requisiti previsti, infatti, non ricorre il terzo dei requisiti previsti dalla Legge 225/2016.
Infatti il lavoratore otterrà la corresponsione di una indennità variabile, distinta in base al numero di ore passate in trasferta che comunque risulta collegata in modo assoluto alla concreta ed effettiva effettuazione della trasferta.
I giudici della Cassazione hanno confermato, quindi, che la trasferta verrà pagata solo per i giorni (o le ore) di effettiva assenza del lavoratore dal luogo di lavoro abituale.
Si sottolinea, infine, come la natura interpretativa della disposizione consente di applicarla, retroattivamente, anche ai giudizi in corso. Le SS.UU. hanno confermato la natura interpretativa e, quindi, l’efficacia retroattiva del D.L. 193/2016, attraverso una puntuale ricostruzione storica del contrasto. Pertanto, il provvedimento, che di fatto ammette la possibilità di applicare il regime della trasferta anche a lavoratori ontologicamente trasfertisti, risulta applicabile anche ai giudizi in corso non ancora passati in giudicato.

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