Il diritto della concorrenza, presidio delle vendite on-line

Il diritto della concorrenza, presidio delle vendite on-line

di Giovanni Scoccini e Francesca Sutti pubblicato su Lettera43

La rilevanza delle vendite online nel settore del commercio sta aumentando esponenzialmente. Nella sua Comunicazione del 11 gennaio 2012 la stessa Commissione Europea ha individuato nell’e-commerce un importante fattore di crescita economica, di cui dovrebbero beneficiare anche i consumatori in termini di prezzi contenuti e di maggior scelta e qualità di prodotti e servizi. Secondo la Commissione i risparmi complessivi per i consumatori sarebbero pari a circa 204 miliardi di euro (1,7% del PIL europeo) se il commercio elettronico raggiungesse il 15% del commercio al dettaglio e se gli ostacoli al mercato unico venissero eliminati. Lo sviluppo del mercato unico digitale, produce, tuttavia, inevitabilmente delle tensioni competitive tra i distributori tradizionali e i venditori on-line, nonché tra fornitori e distributori. I distributori tradizionali spesso soffrono la concorrenza dei prezzi più convenienti offerti dai venditori on-line: questi ultimi non devono far fronte ai costi fissi generati dal mantenimento di un punto vendita fisico, costi che, ovviamente, i primi non sostengono. Il mercato delle vendite online è poi oggetto di contesa tra distributori e imprese produttrici poiché queste ultime vorrebbero riservare a sé questo canale di vendita. Ai rivenditori on-line viene tuttavia in soccorso il diritto della concorrenza che, come in qualsiasi altro rapporto commerciale, trova applicazione anche nell’e-commerce . In linea di principio le vendite on-line, intese come quelle effettuate tramite un sito web, sono considerate vendite passive, ovvero non sollecitate. È, infatti, il (potenziale) cliente ad attivarsi visitando il sito ed effettuando poi il relativo ordine. Mentre è spesso possibile imporre ad un proprio distributore di non contattare attivamente i clienti nei territori riservati ad altri distributori, il fornitore non può mai impedire le vendite passive ai clienti finali. Così, non è possibile vietare al distributore di rispondere alle richieste dei clienti che di propria iniziativa lo abbiano contattato, magari tramite il sito web, anche se questi si trovano in territori riservati ad altri distributori. Se, quindi, non è possibile per il fornitore vietare l’utilizzo di internet ai propri distributori, l’ordinamento consente però di imporre loro il rispetto di alcune condizioni. In primo luogo, il fornitore, ad eccezione della sola ipotesi in cui detenga una posizione dominante, è libero di scegliersi i propri distributori. Inoltre, il Regolamento n. 330/2010 prevede che esso possa imporre ai propri distributori l’obbligo di avere un punto di vendita fisico e di raggiungere con questo determinati obbiettivi di vendite sia in termini di volume che di valore. Non è, invece, consentito limitare la proporzione delle vendite complessive fatte via Internet rispetto a quelle tradizionali. Inoltre, nelle vendite on-line il fornitore non potrà imporre al proprio distributore i prezzi di rivendita nel web, così come non potrà vietare ai propri distributori di utilizzare internet ai fini delle vendite nell’intento di riservarsi l’esclusiva sulle vendite online. Al fine di tutelare l’immagine dei propri prodotti e del proprio marchio il fornitore potrà poi prescrivere dei requisiti grafici e tecnici del sito web del distributore. Non sarà, invece, possibile vietare al distributore versioni del sito in lingue diverse da quella del territorio in cui è ubicato. La Commissione ritiene che le scelte delle lingue utilizzate sul sito o per la comunicazione sono considerate di per sé una forma di vendita passiva. Tuttavia, l’applicazione del diritto della concorrenza alle nuove tecnologie non è sempre immediata. In alcuni casi è evidente, ad esempio, che le offerte inviate tramite posta elettronica siano considerate una forma di sollecitazione attiva delle vendite, che, pertanto, al ricorrere di determinate condizioni possono essere limitate. In altri casi, come l’utilizzo dei banner pubblicitari e delle parole chiave per i motori di ricerca, la valutazione è più complessa. La Commissione nella sua comunicazione sugli orientamenti sulle restrizioni verticali fornisce solo alcuni esempi, lasciando alle imprese il compito di effettuare una delicata autovalutazione sulla legittimità delle restrizioni all’utilizzo di questi nuovi strumenti pubblicitari. In questo compito un notevole contributo potrà essere dato dalla giurisprudenza.

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